La Preponderanza della Consultazione Clinica e dell’Esplorazione Neurologica rispetto all’Analisi Radiografica
Innumerabili volte, mi si pone davanti un bivio professionale, condiviso con molti dei miei colleghi: pazienti che, con un semplice clic, inviano tramite posta elettronica o, ancor più sorprendentemente, attraverso messaggi Whatsapp, gli esiti di indagini radiografiche, spesso privi dell’essenziale corredo iconografico. Alcuni enti mi hanno persino sollecitato a erogare consulenze “a distanza”, vale a dire, valutazioni cliniche dei pazienti effettuate via email. Tale modalità non rappresenta un ostacolo, fino a quando non emerge la richiesta, da parte dei pazienti, su come gestire la diagnosi ricevuta.
Per quanto possa sembrare immediato limitarsi all’esame dei referti o delle immagini per formulare un giudizio, la scelta più sagace, e decisamente più vantaggiosa per il paziente, risiede nell’invitare lo stesso a un incontro faccia a faccia. Ecco perché prediligo questa seconda via: è innegabilmente quella che meglio serve l’interesse del paziente. Non posso semplicemente consultare un referto, osservare delle immagini e poi suggerire: “Prova con la fisioterapia, se non sortisce effetto, consulta un neurochirurgo”. La figura del neurochirurgo, che mi identifica, implica l’adozione di misure attive per un’ottimale gestione del caso. Questo sottolinea l’importanza di un dialogo diretto con il paziente, per raccogliere un’anamnesi dettagliata e procedere con un’esame clinico e neurologico approfondito.
Solo dopo un’analisi integrata e concordata della storia clinica, dell’esame neurologico e, infine, delle immagini radiografiche, è possibile delineare un percorso terapeutico. Si tratta, in effetti, di una vera e propria strategia di lotta contro la malattia, che richiede una pianificazione meticolosa e un impegno costante. Agire diversamente equivarrebbe a curare le immagini delle risonanze magnetiche piuttosto che i pazienti stessi. La distinzione è sottile ma fondamentale: le immagini di risonanza magnetica, anche se sottoposte a intervento chirurgico, “guariscono” sempre, i pazienti invece no.
Tale riflessione, pur sembrando ovvia a prima vista, acquista un peso notevole se si considera il volume di richieste che mi giungono. Se per le indagini radiologiche di minore importanza clinica, che evidenziano patologie lievi, può bastare inizialmente un consiglio verso la fisioterapia, la situazione si complica quando si tratta questioni di RM che rivelano patologie potenzialmente chirurgiche o di maggiore entità. In questi casi, diventa cruciale agire come un detective della medicina, alla ricerca di indizi capaci di “localizzare” l’epicentro del problema clinico segnalato dal paziente.
Una riflessione ulteriore merita di essere esposta: l’emanazione telefonica di prescrizioni per farmaci analgesici o antinfiammatori non si rivela sempre un iter lineare, data l’assenza di una compiuta anamnesi farmacologica del soggetto in esame, ignota permanendo le allergie e le possibili avversità. La Tachipirina, per esempio, può scatenare episodi di crisi ipotensive in certi individui, analogamente un antinfiammatorio quale la nimesulide (noto commercialmente come aulin) si proibisce in soggetti affetti da reflusso gastroesofageo o da ernia iatale.
Per questo, nella maggior parte dei casi, è essenziale poter dialogare con il paziente, raccogliendo una storia clinica accurata e procedendo con un esame che fornisca dati neurologici di fondamentale importanza, non solo per la definizione della terapia ma anche per l’elaborazione di un pronostico. Un’ultima riflessione riguarda la pratica, ormai diffusa, di richiedere telefonicamente prescrizioni di terapie analgesiche o antiinfiammatorie.
Questo approccio alla medicina, trasmessomi dai miei maestri, e che applico scrupolosamente in ogni visita, mira a stabilire una corrispondenza anatomo-clinica, ovvero una coerenza tra i sintomi riferiti dal paziente, le evidenze dell’esame neurologico e, in ultima analisi, i risultati delle indagini radiologiche.