INTERVISTA AL DOTTOR FUSCO

Mario Fusco
Dott. Fusco, quali sono le patologie che possono colpire la colonna vertebrale?
Le patologie che interessano la colonna vertebrale possono essere di tipo degenerativo, traumatico, infettivo, o tumorale. Inizialmente coinvolgono le strutture ossee, articolari, legamentose della colonna vertebrale e talvolte, molto più spesso in un secondo momento, possono interessare anche le strutture nervose (radici nervose e/o midollo spinale). La causa che con maggior frequenza porta a problematiche della colonna vertebrale è quella degenerativa, legata cioè alla ”usura” della colonna vertebrale come conseguenza delle attività che svolgiamo nella vita di tutti i giorni e anche delle posture che assumiano, sia durante il lavoro che a riposo, anche durante il sonno. La patologia degenerativa della colonna vertebrale può portare ad esempio ad un’ernia discale, oppure ad una progressiva sofferenza del disco (discopatia degenerativa), può determinare un restringimento del canale vertebrale (stenosi) fino a scivolamenti di una vertebra sull’altra (spondilolistesi), può determinare anche un cambiamento della forma della colonna vertebrale (scoliosi degenerativa). Le patologie degenerative nel loro insieme rappresentano le forme cliniche che con maggior frequenza sono causa di dolore alla colonna vertebrale (rachide) ed agli arti superiori ed inferiori. La manifestazione clinica più frequente, infatti, soprattutto all’esordio, è il dolore localizzato alla colonna vertebrale, in ordine di frequenza nella regione lombare (lombalgia), cervicale (cervicalgia), dorsale (dorsalgia). A volte il dolore può irradiarsi lungo il decorso di una radice nervosa degli arti inferiori (lombo-sciatalgia e lombo-cruralgia) o degli arti superiori (cervico-brachialgia). Successivamente, a distanza variabile dall’esordio del dolore, possono comparire anche sintomi neurologici: debolezza muscolare fino alla perdita della funzione motoria di un muscolo o gruppo muscolare, intorpidimento o alterazioni della sensibilità delle estremità degli arti e, nei casi più gravi, anche difficoltà nel controllo degli sfinteri rettale e urinario.
Per fortuna il decorso clinico delle patologie degenerative, tranne rare eccezioni, è piuttosto lento e le strategie terapeutiche fanno sì che oggi non si arrivi più alle espressioni cliniche più gravi. Ciò nonostante, il dolore alla colonna lombare rimane una delle prime cause di accesso all’ambulatorio del medico di base, di inabilità temporanea con allontanamento dal lavoro ed incide significativamente sulla spesa sanitaria.

Chi si occupa del trattamento delle patologie della colonna vertebrale?
A causa della diversa origine delle problematiche della colonna vertebrale e delle diverse possibilità di approccio diagnostico e terapeutico, un vasto numero di specialisti può avvicinare in tempi diversi il paziente (ortopedico, fisiatra, posturologo, neurologo, neurochirurgo, terapista del dolore), suggerendo a volte soluzioni che possono apparire o possono realmente essere, diverse o addirittura in “conflitto” tra loro. 
 
Come si fa a diagnosticare un problema alla colonna vertebrale? Quali esami bisogno effettuare?
La cosa più importante è la valutazione clinica del paziente, mediante una attenta anamnesi e un appropriato esame obiettivo/neurologico. Bisogna dedicare anche una parte della visita alla valutazione degli aspetti psicologici e socioeconomici, perché giocano un ruolo importante nella cronicizzazione del mal di schiena e della disabilità. In assenza di segni o sintomi di possibile grave patologia spinale o neurologica non vi è l’indicazione a eseguire nessun tipo di ulteriore approfondimento diagnostico, perché nella grande maggioranza dei casi la sintomatologia si risolve, ma se il dolore persiste è raccomandato effettuare una diagnostica per immagini mediante RX, TC ed RM, a seconda del caso: una RX è molto appropriata in caso di trauma, osteoporosi, età superiore a 70 anni, l’RM è l’esame più appropriato se si sospetta una patologia discale o vi sono segni di compromissione neurologica, la TAC unita all’RM sono in grado di offrire al medico la possibilità di effettuare una corretta diagnosi nella quasi totalità dei casi.

Quali possibilità terapeutiche esistono oggi?
In fase acuta, oltra ai farmaci, la terapia è fisica e comportamentale: bisogna fornire al paziente informazioni circa la sua patologia, rassicurazioni circa la buona prognosi e suggerimenti adeguati per ridurre l’ansia, raccomandando di rimanere attivi e continuare l’abituale attività, nei limiti del dolore, mantenendo una postura corretta; il riposo prolungato a letto è sconsigliato. Nelle situazioni croniche i punti cardine della terapia, oltre al controllo del dolore, sono un assetto posturale adeguato, evitare i carichi in eccesso e sforzi fisici, praticare con stanza e progressività esercizio fisico, volto alla tonificazione e rinforzo della muscolatura parvertebrale soprattutto. In caso di fallimento della terapia conservativa è raccomandato l’invio del paziente al neurochirurgo, soprattutto se la sintomatologia è grave e disabilitante, persiste senza miglioramento o con peggioramento, o ci sono segni di compressione neurologica. Nei casi non suscettibili di terapia chirurgica è possibile un approccio del terapista del dolore.

Dott. Fusco, qual è il suo personale atteggiamento nei confronti del paziente?
Più che di atteggiamento parlerei di filosofia di lavoro, che ha pochi semplici punti cardine: quello più importante è la centralità del paziente. Il paziente, cioè, con le sue esigenze fisiche, psicologiche e socio-economiche è posto al centro del percorso di cura, che va individualizzato poiché particolare per ogni paziente è la manifestazione clinica di un problema della colonna vertebrale e particolare deve essere il percorso di cura. Per ottenere tale obiettivo ritengo indispensabile il lavoro in TEAM improntato alla multidisciplinarietà e alla continuità assistenziale: il paziente è assistito per tutto il percorso diagnostico e terapeutico da più specialisti (neurochirurgo, posturologo, osteopata, fisioterapista, tecnico ortopedico, nutrizionista) che, abituati a lavorare insieme in maniera affiatata secondo un programma condiviso, interagiscono strettamente utilizzando i medesimi principi diagnostici e terapeutici, apportando ognuno le proprie competenze, al fine di garantire una visione globale (olistica) della problematica clinica per porre in atto le migliori e più innovative soluzioni terapeutiche mediche, riabilitative e, ove necessario, chirurgiche.

Quali sono i pazienti candidati all’intervento chirurgico?
Soltanto una piccola parte dei pazienti valutati (circa 5-10%) necessita di un trattamento chirurgico, il cui scopo è quello di migliorare la qualità di vita del paziente in presenza di una sintomatologia dolorosa non altrimenti controllata o addirittura di deficit neurologici (in questo ultimo caso il trattamento chirurgico è quasi obbligatorio). Le tecniche chirurgiche utilizzate sono all’avanguardia, sia per la bassa invasività biologica che per l’innovatività delle metodiche. Gli approcci mini-invasivi o percutanei ed il pressoché costante utilizzo del microscopio operatorio, garantendo piccole incisioni cutanee e una minima manipolazione della muscolatura paravertebrale, consentono alle persone anche più anziane una rapida mobilizzazione ed un più precoce rientro alle usuali attività della vita quotidiana.

In cosa consiste l’intervento di XLIF, che oggi è ritenuto uno degli interventi più efficaci sulla colonna vertebrale?
Negli ultimi anni vi è stato un grande progresso nella chirurgia vertebrale, che soltanto che è “addetto ai lavori” è stato in condizione di assimilare. Il progresso maggiore è stato quello dell’introduzione del concetto di miniinvasività, che non vuol dire soltanto, come comunemente si pensa, “fare un approccio piccolo e quindi piccolo taglio”; la miniinvasività non si misura in centimetri, ma vuol dire portare il minor discomfort possibile per il paziente, quindi taglio piccolo, ma minor sofferenza muscolare possibile, minori perdite ematiche, più precoce mobilizzazione del paziente e pronta dimissione dall’ospedale con più breve periodo di convalescenza prima della ripresa della vita di tutti i giorni. L’intervento chirurgico di fusione intersomatica lombare per via extreme-lateral (il cui acronimo è appunto XLIF), effettuato in pochissimi centri specializzati in Italia, sintetizza tutti questi concetti e consente, controllando continuamente lo stato di salute dei nervi durante l’intervento con un monitoraggio elettrofisiologico, attraverso un piccolo approccio sul fianco, sopra alla cresta iliaca, di ottenere una eccellente fusione delle vertebre coinvolte nel fenomeno degenerativo e nel contempo una correzione della forma della colonna, per rendere quanto più “ergonomica” la funzionalità della colonna vertebrale. Il paziente può camminare dal giorno successivo all’intervento e tornare a casa dopo 3-4 gg di ricovero ed al lavoro, in genere, dopo circa 45-60 gg.